Con i vigneti resistenti si apre una finestra importantissima, che potrà aiutare a ridurre l’impatto ambientale grazie a una resistenza maggiore delle piante alle malattie. Non possiamo però voltare pagina sulla storicità dei nostri vini. Il vero obiettivo sarà infatti non solo quello di produrre vini diversi per un mercato sostenibile, ma anche vini come Prosecco, Pinot, Merlot e tutte le nostre altre doc prodotti da vigneti più resistenti alle malattie.
E’ questa la sintesi di quanto emerso dal convegno “Vite: il futuro è resistente?” promosso da Confagricoltura Treviso, che ha visto oltre 350 persone accorrere a Villa Luisa Francesca di Montebelluna, provenienti non solo dalla Marca ma anche dalla provincia di Belluno, Padova e Vicenza. Un segnale che dimostra come una viticoltura che necessiti di meno fitofarmaci sia ormai un percorso tracciato e quasi obbligato, che non solo sta suscitando un crescente interesse, ma che molti agricoltori della Marca hanno già iniziato a intraprendere. Il convegno ha infatti portato alla luce alcune esperienze molto interessanti, a cominciare dal vigneto sperimentale dell’istituto agrario Sartor di Castelfranco Veneto, avviato nel 2014, dove sono state piantate 22 varietà di viti resistenti tra uva bianca e nera, selezionati dalle Università di Friburgo e Udine, che vengono seguite anche dagli studenti a scopo didattico. Alcuni nomi dei vitigni richiamano quelli più celebri: Solaris, Prior, Cabernet Carbon, Souvignier Gris, Sauvignon Nepis, Merlot Kanthus. Giovanni Pascarella, enologo che ha seguito il progetto per Extenda Vitis, ha illustrato i risultati enologici e produttivi, che hanno dato ottimi riscontri. È emerso, ad esempio, che alcune varietà di uva bianca maturano prima, sono molto produttive (fino a 260 quintali a ettaro), hanno un contenuto zuccherino perfino superiore a quello della Glera e producono buoni vini. Anche per l’uva nera i rilievi sono molto promettenti. “Più che vigneti resistenti, sarebbe meglio chiamarli tolleranti, perché qualche malattia la prendono – ha rimarcato Pascarella -. Però i trattamenti vengono ridotti a tre all’anno rame e zolfo, con risultati qualitativi molto buoni. Ricordiamoci però che non dobbiamo parlare di Merlot resistente o Cabernet resistente, ma di varietà diverse, con gusti e caratteristiche ben definiti. L’esperienza è comunque utile sia perché vinifichiamo alcune varietà sul territorio trevigiano e possiamo vedere come si comportano, sia perché gli studenti possono cominciare a testare questa nuova frontiera della viticoltura”. Esperienza tutta trevigiana anche quella del Crea di Conegliano, dove quest’anno saranno messe in campo le prime piante ottenute dagli incroci con i parentali resistenti alle malattie nell’ambito del programma Gleres, promosso da Confagricoltura Treviso, progetto che punta a produrre piantine di Glera resistenti a malattie come la peronospera e lo oidio. Riccardo Velasco, direttore del Crea, ha spiegato che, tramite incroci e selezioni, si sta puntando ad arrivare a “figli di Glera che siano simili il più possibile alla Glera per far sì che, arrivando a un alto livello qualitativo, un giorno possano essere inseriti nel disciplinare del Prosecco. Le prime uve dei figli di Glera le vedremo in autunno, con le quali potremo fare la prima microvinificazione l’anno prossimo. Con le piante via via messe a dimora negli anni successivi si punterà sempre di più a un miglioramento, sia dal punto di vista della resistenza che della qualità”. Di grande interesse i racconti di Daniel Piccinin, che lancerà al prossimo Vinitaly il primo moscato “resistente”, e di Robert Spinazzè, dell’azienda agricola Terre di Ger e dell’associazione internazionale Piwi (che raccoglie 400 produttori di vigneti resistenti).