Lo studio dell’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) che ha fatto classificare le carni lavorate e le carni rosse come potenzialmente cancerogene è stato tradotto dall’OMS e dalla stampa in modo del tutto allarmistico e fuorviante. La correlazione con l’insorgenza di tumori al tratto intestinale potrà infatti esserci nel caso di un eccessivo consumo, non per i consumi che si registrano normalmente in Italia.
Secondo Andretta, presidente della Sezione Regionale Bovini da carne: “Lo studio indica il consumo di 100 grammi al giorno per la carne rossa e 50 grammi al giorno per quella trasformata come condizione per un aumento, comunque modesto, del rischio alimentare che è molto lontano a quello del nostro Paese. Infatti, gli italiani consumano 300 grammi di carne rossa in una settimana, ciò significa che i dati oggetto dello studio, prendono in esame un consumo doppio di quello nostro”.
Inoltre, le carni prese in esame sono diverse da quelle italiane e venete perché diverse sono le razze, come diversa è l’alimentazione animale, i metodi di allevamento e l’età della macellazione che fanno sì che la nostra carne abbia caratteristiche nutrizionali e contenutistiche differenti come una percentuale di grasso molto inferiore.
Alcuni studi che sono stati compiuti, dimostrano che le nostre carni hanno una composizione chimica dove il rapporto fra i grassi saturi e insaturi è migliore. Qualche allevamento utilizza nell’alimentazione dei bovini anche degli antiossidanti che aumentano considerevole la percentuale di Omega 3 nella carne. E’ importante che tutti noi ci nutriamo con alimenti differenziati in modo tale che anche tracce di sostanze potenzialmente nocive, presenti in tutti i cibi, non creino nessun problema alla salute.
Va detto infine che questo allarmismo irresponsabile danneggia un settore, quello dell’allevamento e dell’intera filiera, già in grave difficoltà, mettendo a rischio migliaia posti di lavoro.