“In Veneto i consorzi spendono un milione di euro all’anno per intentare causa ai falsificatori stranieri dei vini veneti, in primis Prosecco e Amarone. Chiediamo aiuto al ministero, perché sono costi proibitivi e non ce la facciamo più a sostenerli”.
Alla vigilia del Vinitaly, che prenderà il via domenica prossima a Verona, il presidente dei viticoltori di Confagricoltura Veneto Christian Marchesini lancia un grido d’allarme sulla grave situazione della contraffazione all’estero di vini veneti, che sta costringendo i consorzi a intentare decine di cause per tutelare le aziende vitivinicole dal fenomeno crescente dell’italian sounding, vale a dire l’utilizzo di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evocano il prodotto italiano. Una piaga che ha un costo altissimo per le aziende: due miliardi, secondo i dati di Federalimentare, il valore della contraffazione dei vini italiani, che equivale a un terzo della stima complessiva relativa alle agro-piraterie.
Le ultime new entry nel campo delle frodi alimentari riguardanti i vini veneti sono i falsi prosecchi ucraini, che i produttori etichettano con nomi assonanti come Rosecco e Secco, e un Amarone prodotto in Spagna, con etichette contraffatte e riprodotte in maniera grossolana, in vendita a un terzo dei prezzi di mercato. “Siamo alla vigilia della cinquantesima edizione del Vinitaly e il vero problema del nostro vino rimane quello legato al falso made in Italy – dice Marchesini, che è anche presidente del consorzio di tutela vini Valpolicella -. Siamo sempre più nel mirino di registrazioni fraudolente, che minano gli interessi di centinaia di aziende vitivinicole del Veneto. Attualmente i consorzi di tutela del Valpolicella e quello del prosecco viaggiano nell’ordine di cinque cause internazionali all’anno, con costi insopportabili. Basti pensare che un solo grado di giudizio per bloccare una falsa registrazione negli Stati Uniti raggiunge cifre fino a 200 mila euro. Come consorzi fatichiamo sempre di più a gestire economicamente la situazione. Chiediamo perciò al ministero di intervenire direttamente e sostenere la protezione dei nostri brand di successo: non bastano accordi circoscritti come quello sui prodotti contraffatti con Amazon, ma servono azioni più energiche e concrete”.